Lo dice meglio di chiunque altro, nell’introduzione del libro che celebrerà tra qualche settimana i 40 anni di questo giornale, il suo fondatore Ettore Mocchetti: «AD è il più attendibile laboratorio del lifestyle esistente poiché in esso architettura e arredamento non possono prescindere, in dosi differenti secondo i periodi, dall’arte, dal design, dalla memoria, dagli oggetti d’affezione, dalla moda (o dalle mode), dalle tecnologie in perpetuo sviluppo, dalla comunicazione interpersonale».
È proprio così. Su queste pagine, il contenitore (“Le più belle case del mondo”) serve da sempre per raccontare il contenuto: le persone che le abitano, il vissuto che portano. Perché se c’è un punto di osservazione privilegiato sulla vita, le sue partenze e i suoi ritorni, la grazia o il peso con cui gli anni si accumulano e le scelte si sommano, è proprio la casa, e con essa le care cose che ci seguono nei traslochi o quelle nuove che scegliamo per celebrare un inizio. Da quarant’anni qui trovate case, cose che parlano di educazione al gusto, di senso della memoria e di misura, a volte di quel tocco di sana follia che serve, conoscendole, a infrangere le regole.
In tutte le case di questo numero, che celebrano un’eccellenza italiana lontana dai cliché, ci sono per pura coincidenza storie di famiglia e generazioni: una madre e una figlia a Venezia, due sorelle a Milano, una giovane coppia pronta al prossimo trasloco, un figlio che aggiungendo le sue opere al mobilio pre-esistente in un certo senso porta a compimento la storia della casa di un padre che non c’è più. Sono luoghi, ciascuno a modo suo, pieni di vita e privi di malinconia.
Attorno: Milano e il Salone alla prova della ripartenza, il ristorante dei re che torna a splendere sul mare, il lago di Como in una rilettura del tutto contemporanea, palazzi che rinascono e altri che si aprono al pubblico per la prima volta, eventi messi in cantiere un po’ ovunque nel Paese, pronti a celebrare nuovi inizi e attesi ritorni.
Che possano essere il segno di una primavera, in anticipo sul calendario ma in ritardo rispetto a ciò che speravamo: è l’augurio che faccio a chi ci legge e a chi qui lavora, nel momento in cui lascio la direzione di questo giornale. Una nuova stagione lo aspetta: non ho dubbi che sarà all’altezza della sua storia, e del ruolo che AD Italia ha sempre avuto – essere ambasciatore, nel mondo, dell’arte italiana di abitare, di accogliere, e quindi di vivere. Nessuno sa farlo meglio di noi.